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Novità del cd. “d.l. Salvini”

Come vi è noto, è entrato recentemente (il 5 ottobre 2018) in vigore il d.l. n. 113 del 4 ottobre 2018, pubblicato sulla G.U. n. 231 dello stesso giorno, dal titolo "Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'Interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata".

Sui contenuti dello stesso, il Tribunale di Bologna ha diramato una circolare, che ne riassume ed evidenzia i numerosi punti di interesse per avvocatura, magistratura ed uffici di cancelleria.

Riservando ad altra sede ogni analisi e commento della nuova normativa in materia di protezione internazionale e immigrazione, e pur in doverosa attesa del dibattito e delle probabili modifiche che il testo normativo subirà in sede di conversione, preme richiamare qui la vostra attenzione sul disposto dell'art. 15 del d.l., intitolato "Disposizioni in materia di giustizia", che, introducendo un nuovo art. 130 bis nel testo del d.p.r. n. 115 del 30 maggio 2002 (Testo unico sulle spese di giustizia), tocca tutti i giudizi civili con parti che siano state ammesse al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.

Il testo del nuovo art. 130 bis è il seguente: "(Esclusione dalla liquidazione dei compensi al difensore e al consulente tecnico di parte nei processi civili).

1. Nel processo civile, quando l'impugnazione, anche incidentale, è dichiarata inammissibile, al difensore non è liquidato alcun compenso.

2. Non possono essere altresì liquidate le spese sostenute per le consulenze tecniche di parte che, all'atto del conferimento dell'incarico, apparivano irrilevanti o superflue ai fini della prova."

Nella Relazione illustrativa si legge che la disposizione sarebbe volta a "colmare una lacuna normativa" nel processo civile, poiché una norma analoga era già prevista per il processo penale (l'art. 106 del d.p.r. n. 115/2002: "(Esclusione dalla liquidazione dei compensi al difensore e al consulente tecnico di parte) - 1. Il compenso per le impugnazioni coltivate dalla parte non è liquidato se le stesse sono dichiarate inammissibili. - 2. Non possono essere liquidate le spese sostenute per le consulenze tecniche di parte che, all'atto del conferimento dell'incarico, apparivano irrilevanti o superflue ai fini della prova"). Peraltro, a parte l'ovvio rilievo che ammissione e disciplina del patrocinio a spese dello Stato sono ben differenti in materia penale e civile, per presupposti, requisiti ed ente concedente, bisogna rimarcare che nel processo civile ed equiparati esisteva già una norma, non invece presente per i giudizi penali, ossia l'art.  136 del d.p.r. n. 115/2002: "(Revoca del provvedimento di ammissione) – (…) 2. Con decreto il magistrato revoca (n.d.r., con effetto retroattivo) l'ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, (…)  se l'interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave".

Le novità introdotte dalla norma in commento sono molte, e foriere di conseguenze di non poco momento.

1) La diversa dizione dell'art. 106 e del nuovo art. 130 bis (art. 106: "Il compenso per le impugnazioni coltivate dalla parte non è liquidato"; art. 130 bis: "Nel processo civile, quando l'impugnazione, anche incidentale, è dichiarata inammissibile, al difensore non è liquidato alcun compenso") può indurre a far ritenere che nel primo caso la previsione sia limitata a negare la liquidazione del compenso del solo grado di impugnazione, mentre nel secondo caso ("nel processo") il diniego si estenda all'intero giudizio (con la conseguenza che in caso di giudizio concluso da sentenza definitiva di inammissibilità, sarebbero travolti i compensi per l'intero processo, dal primo grado alla Cassazione); e questa è l'interpretazione corrente, in base alla quale - allo stato - i compensi dei difensori di ammessi al beneficio vengono "congelati" fino al passaggio in giudicato della sentenza, o alla verifica dell'esito dell'impugnazione.

2) I casi di inammissibilità delle impugnazioni civili concernono, come noto, non solo questioni di forma ma anche di sostanza, quali i casi regolati dagli artt. 348 bis (inammissibilità dell'appello "quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolto") e 360 bis c.p.c. (inammissibilità del ricorso in Cassazione "quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa").

È evidente l'intento di responsabilizzare i difensori, imponendo loro di sconsigliare e dissuadere l'assitito dal proporre impugnazioni infondate. Tuttavia, per quanto detto al punto 1, l'avvocato del grado conclusosi sfavorevolmente, che virtuosamente abbia sconsigliato l'impugnazione, resterebbe tuttavia soggetto all'alea del possibile appello (o ricorso per Cassazione) redatto da altro professionista, ed in caso di pronuncia di inammissibilità vedrebbe travolto anche il proprio compenso per il grado precedente.

3) La finalità dissuasiva e deflattiva del contenzioso "inutile" è ancora più evidente allorchè si consideri il secondo comma dell'articolo in esame, secondo cui al consulente tecnico di parte non verrà liquidato alcun compenso per c.t.p. "irrilevanti o superflue ai fini della prova"; tali dovendo intendersi, secondo i più, quelle ridondanti, o volte a supportare pretese infondate, indipendentemente dal fatto che la c.t.u. sia stata disposta dal magistrato e dunque la perizia in sè non sia stata ritenuta "irrilevante" o "superflua". È poi in generale troppo ampio il margine di discrezionalità che comporta l'ancorare la mancata liquidazione del compenso a  valutazioni, particolarmente delicate e dagli incerti confini, di inammissibilità o di irrilevanza e superfluità.  

4) La forte differenza tra il prevedere (art. 136 del t.u.) la revoca, a carico dell'assititito, dell'ammissione al beneficio in caso di azione o resistenza in giudizio "con malafede e colpa grave", e il prevedere (art. 130 bis del t.u.) che l'ammissione, a favore del beneficiario, persiste ma "al difensore non è liquidato alcun compenso", non è trascurabile, atteso che, se non interviene la revoca, tecnicamente il beneficiario è ancora ammesso al patrocinio, e dunque non gli possono essere richiesti, da parte del difensore, compensi (art. 85 del t.u. ed art. 29 del codice deontologico).

Queste conseguenze, pesantemente incisive sulla sfera dell'avvocato più che su quella dell'ammesso al beneficio, si manifestano in tutta la loro criticità se si considera che la norma, inizialmente preannunciata come "abolizione del patrocinio a spese dello Stato per i ricorsi dei migranti", e poi presentata al pubblico come "le spese processuali per un ricorso contro la negazione della domanda d'asilo non sono più a carico dello Stato", come si è visto, in realtà è di ben più ampia portata, riferendosi a tutti i processi civili (non solo quelli in materia di migrazione internazionale).

Il nostro Consiglio dell'Ordine di Bologna ha deliberato di sottoporre all'attenzione degli organi rappresentativi dell'avvocatura i numerosi profili critici della disposizione, auspicandone l'intervento nella fase di conversione in legge del decreto, dal momento che l'effetto della norma così come introdotta con il d.l. non è quello di limitare o diversamente regolamentare il patrocinio a spese dello Stato nei ricorsi in materia di protezione internazionale e immigrazione, bensì quello di incidere pesantemente sulla funzione difensiva.

Il Consigliere referente della Commissione Patrocinio a spese dello Stato 

avv. Annalisa Atti

(Circolare n. 200/2018)

 


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